Uscire dal Petrolio – un miliardo di buone ragioni

uscire dal Petrolio

Uscire dal Petrolio diviene sempre più urgente.

Procedimenti giudiziari aperti in Italia, Olanda e Nigeria. Alla sbarra due delle più potenti compagnie petrolifere del mondo: #Shell ed #Eni. La Repubblica Federale della Nigeria si costituisce come parte civile.

Il caso #OPL245 continua a svelare dettagli e personaggi all’altezza della sceneggiatura di una serie.

Uno dei più grandi giacimenti petroliferi offshore del mondo, viene pagato 2 milioni di dollari, per poi essere rivenduto ad oltre un miliardo. Quando in realtà ne varrebbe più di 3. Una tangente a 9 zeri, talmente enorme e scottante che il suo transito attraverso istituti di credito svizzeri e libanesi è stato rifiutato. L’ex Ministro del Petrolio del Regime Militare Nigeriano del dittatore Abacha, uomo d’affari dal poco invidiabile soprannome di Mr. Corruption. Dirigenti, intermediari e faccendieri legati ai servizi segreti di mezzo mondo. Trolley zeppi di contanti che volano dall’Africa all’Italia. Avvocati e giudici corrotti che tentano di depistare le indagini e fanno spiare giudici e giornalisti. Quando non sono troppo impegnati ad interferire con il funzionamento del sistema giudiziario italiano. E sullo sfondo di tutto questo la spoliazione delle risorse della più popolosa nazione africana ad opera di due tra i maggiori responsabili diretti, in termini assoluti, del disastro climatico a cui andiamo incontro.

Il silenzio intorno al processo ad ENI.

Tutto questo è emerso durante il processo di Primo Grado in corso presso il Tribunale di Milano, già ribattezzato il “processo del secolo”. Entrato nella sua fase conclusiva la scorsa settimana con la conclusione della requisitoria da parte dei pm De Pasquale e Spadaro. La formulazione delle richieste di condanna (tra cui spiccano quelle di 8 anni di reclusione per l’amministratore delegato di Eni all’epoca dei fatti (2011) Paolo Scaroni e per il suo successore fresco di riconferma governativa Claudio Descalzi), si accompagna alla richiesta di confisca di beni alle due società per 2,1 miliardi di dollari complessivi.

Siamo ancora soltanto al primo grado di giudizio, ogni accusa deve essere ancora confermata. Eppure sembra strano che la vicenda non riesca a farsi più di tanto largo sui principali canali d’informazione e nel dibattito politico. In quanto parliamo di una presunta tangente da 1,1 miliardi di dollari.

Parliamo del rischio concreto che i vertici della più potente, influente, multinazionale “italiana”, in cui lo Stato ha garantita un’influenza determinante (grazie a una quota azionaria del 30%), siano condannati per corruzione internazionale. Il processo di primo grado nei confronti degli imputati (due intermediari dell’affare che hanno optato per il rito abbreviato) è terminato con due condanne e con l’affermazione dell’indubbia consapevolezza dei vertici di Eni e Shell di essere “complici di un disegno criminoso”.

Forse è perché ENI ci tiene ad essere molto presente sui mezzi d’informazione. Tinge di verde i giornali, ci racconta della sua “transizione green”. Compra pubblicità sui giornali, in TV, su internet ed ora entrerà anche nelle scuole.

Sostegno alle ONG!

Noi GEV, vogliamo uscire dal Petrolio. Iniziando raccontando questa storia. Chiedendo a tutti di aiutarci nel sostenere chi, come le ONG inglesi CornerHouse e GlobalWitness e l’italiana Re:Common, con coraggio, attraverso un esposto alla procura di Milano, hanno innescato la vicenda giudiziaria. Dando manforte a coloro che fanno vero giornalismo d’inchiesta e si mettono al servizio dei cittadini, in un Paese dove il giornalismo di qualità è merce sempre più rara e svalutata.

Noi GEV, vogliamo domandare all’azionista di riferimento di ENI, ossia lo Stato Italiano, come sia possibile riconfermare una dirigenza accusata di corruzione internazionale (non solo in Nigeria in quanto un’altra vicenda è aperta in Congo). Dirigenza, così sicura di sé da non aver previsto in questi anni alcun accantonamento di bilancio per far fronte a eventuali sanzioni.

Noi GEV, vogliamo domandare come sia conciliabile lasciare che ENI imponga condizioni contrattuali punitive al più popoloso paese africano, attraversato da conflitti etnici e religiosi e piagato dalla corruzione. Patria natia della più grande comunità di immigrati sub-sahariani in Italia. Privato, (secondo stime indipendenti) di oltre 6 miliardi di dollari, ovvero due anni del suo bilancio per istruzione e sanità.

Ed allo stesso tempo, finanziare la militarizzazione delle nostre frontiere, i soccorsi in mare e le milizie libiche per proteggerci dalle inevitabili migrazioni innescate da questa spoliazione.

Adesso Basta!!!

Noi GEV dunque ci domandiamo: di fronte allo svelarsi dell’abbraccio mortale tra petrolio, potere e corruzione, di cosa abbiamo bisogno ancora per imporre adesso un freno? Una via d’uscita dall’ economia fossile? Cosa dobbiamo aspettare ancora per decidere di uscire dal Petrolio?

Ed anche se non v’interessa nulla degli orsi polari, amate il caldo e non volete avere figli. Anche se la vostra priorità è la difesa dell’economia e delle imprese italiane (in caso di condanna per il caso OPL245 a Milano, ENI si troverebbe sotto inchiesta immediatamente anche negli Stati Uniti, dove rischierebbe sanzioni ancora più pesanti perché recidiva, dato che la compagnia aveva da poco patteggiato per indovinate? un altro caso di corruzione in Nigeria). Oppure ancora non volete gli immigrati e non sopportate l’integralismo islamico? Allora smettiamo di finanziare la corruzione e il furto coloniale comprando petrolio. 

Qualunque sia la vostra motivazione, il vostro ideale, le ragioni per sostenere il petrolio sono alla sbarra e speriamo siano giunte al capolinea.

Dobbiamo uscire dal Petrolio, adesso!