6 aprile 2020 – L’Italia e il mondo erano in piena pandemia.
Tuttə eravamo bloccati in casa, presi dalla paura di non sapere, sperando per i nostri cari e in attesa, nella testa sempre la stessa frase: “andrà tutto bene”.
57.846 detenutə stavano passando il lockdown in carcere. I timori erano i medesimi ma in carcere c’era un sovraffollamento del 114%. I contatti con i familiari e i volontari erano appena stati interrotti e così tutte le attività, quando nell’arco di pochi giorni esplose l’emergenza (che sembra quasi strano parlare di emergenza, considerando che le carceri italiane sono in una situazione emergenziale da anni).
Il 6 aprile del 2020 nella Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere agenti e funzionari di polizia penitenziaria fecero un’azione punitiva contro diversi detenuti all’indomani di una protesta che si era conclusa con alcuni agenti feriti. I detenuti chiedevano maggiori protezioni Covid-19 in seguito ad un caso di positività all’interno del penitenziario. L’amministrazione promise i test anti contagio e la rivolta rientrò. Tuttavia, secondo quanto ricostruito dalla Procura, nei giorni successivi si realizzò una vera e propria spedizione punitiva fomentata via messaggio dagli stessi agenti: “li abbattiamo come vitelli”. I video pubblicati dal quotidiano “Domani” sono terrificanti: agenti in tenuta anti-sommossa appartenenti al Gruppo di supporto agli interventi del Dap e agenti di Polizia Penitenziaria picchiano i detenuti disarmati, in ginocchio e con le mani alzate. Un altro particolare a molti sfuggito è la totale mancanza di mascherine per i detenuti, dispositivi di protezione invece indossati dagli agenti.
Complessivamente sono 52 le misure cautelari emesse dal gip su richiesta della procura e 117 sono gli indagati. Le ipotesi di reato sono diverse: tortura, violenza privata e abuso di potere. Fondamentale per avviare le indagini è stata la raccolta delle segnalazioni delle violenze e la denuncia presentata dal Garante dei Detenuti della Campania e dall’Associazione Antigone. La giustizia farà quindi il suo corso.
Ora come non mai risulta evidente l’importanza del reato di tortura. Dalla ratifica nel 1989 della Convenzione ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (CAT), l’Italia ha impiegato quasi 30 anni per introdurre il reato di tortura. Dopo anni di battaglie, nel luglio del 2017, l’Italia inserì finalmente nel suo codice penale l’art. 613 bis:
“Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.”
Il secondo comma sottolinea che se il reato è commesso da un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio con abuso di poteri la pena sarà della reclusione da cinque a dodici anni.
L’iter per approvare l’introduzione del reato fu particolarmente difficile in quanto alcune fazioni politiche ne erano fortemente contrarie. Di fatti, il reato di tortura in Italia si discosta da quello descritto dalla Convenzione dell’ONU su di alcuni punti e sarebbe quindi opportuno rivederlo nel dettaglio. La Corte europea dei diritti dell’uomo, a ottobre 2017, ha condannato l’Italia per gli atti commessi dalle forze dell’ordine durante il G8 nel 2001 e dagli agenti di polizia penitenziaria di Asti nel 2004. La sentenza sottolinea di “aver preso nota della nuova legge sulla tortura entrata in vigore il 18 luglio, ma che le nuove disposizioni non possono essere applicate a questo caso”. L’altro punto che viene evidenziato dalla sentenza è la grave impossibilità di identificare gli agenti coinvolti.
Ci teniamo a sottolineare che ciò che è successo a Santa Maria Capua Vetere non è l’unico procedimento per tortura attualmente aperto in Italia. Vi sono anche quelli di: Ferrara, San Gimignano, Firenze, Torino, Palermo, Milano Opera, Melfi e Pavia.
In questi giorni si è anche tanto parlato di un presunto abuso di potere avvenuto domenica 27 giugno perpetrato dai Carabinieri in una zona centrale di Milano, Piazza XXIV Maggio.
Vi sono però due versioni: quella dei Carabinieri e quella dei ragazzi.
Secondo le fonti istituzionali i ragazzi stavano consumando alcolici e ascoltando musica ad alto volume. Questo ha comportato l’intervento di diversi agenti in tenuta antisommossa. L’intervento è stato definito “come mille altri” e si è concluso con l’identificazione di una decina di ragazzi, un giovane arrestato e uno denunciato per resistenza a pubblico ufficiale.
Una ragazza presente, sui social @riphuda, ha invece denunciato l’uso eccessivo della forza da parte dei Carabinieri non solo a parole ma anche tramite diversi video effettuati sul posto. Secondo i giovani il suono ripetuto del campanello di un monopattino elettrico è stato l’evento scatenante. Da lì una pattuglia ha chiamato i rinforzi e sono arrivate altre sei pattuglie e due blindati antisommossa. Come risulta evidente dai video la situazione si è scaldata, sono stati utilizzati dai Carabinieri diversi insulti razzisti e un uso eclatante della forza nei confronti dei giovani. Chiare sono anche le immagini che mostrano le manganellate date in testa ad una ragazza mentre stava difendendo il cugino.
Sicuramente i fatti sono controversi e ci auguriamo che venga avviata un’indagine per determinare la verità giudiziaria e attribuirne le responsabilità. Ad ogni modo, come Giovani Europeisti Verdi condanniamo le violenze e la superficialità con cui diversi giornali hanno trattato la notizia. Infine, riprendendo il testo della storica sentenza della Corte Europea dell’ormai lontano 2017 chiediamo:
- la revisione del reato di tortura in Italia per portarlo in linea con l’articolo 1 della Convenzione CAT al fine di ridurre gli spazi di impunità;
- rendere possibile l’identificazione degli agenti anche se a viso coperto tramite l’uso di codici o numeri identificativi. Tra le fonti potete trovare il link alla raccolta firme della campagna “Codici identificativi subito” di Amnesty International. Ricordiamo anche che che già ci sono state delle proposte di legge alla Camera dei Deputati. Tra le più recenti quella di Giuditta Pini (PD) e di Riccardo Magi (+Europa). Entrambe sono ferme nella Commissione Affari Costituzionali.
Atti come quelli descritti non sono purtroppo una novità e ledono non solo le vittime e i cittadini ma anche lo stato di diritto e le stesse forze dell’ordine che agiscono nel rispetto della legge.
link per firmare la petizione: https://www.amnesty.it/appelli/inserire-subito-i-codici-identificativi/
Scritto da Erica Soana
Fonti:
https://www.antigone.it/upload2/uploads/docs/Dossier%20tortura%204%20anni.pdf