E ora?
Le immagini che ci arrivano dall’Afghanistan sono drammatiche: masse di persone che si accalcano all’aeroporto per cercare di scappare. La paura è tanta.
Tra le prime vittime ci sono le donne: queste sono già state rimosse dai luoghi di lavoro, alcune scuole e università sono state a loro chiuse e in altri casi è stato chiesto loro di seguire i corsi in aule separate, mentre i manifesti raffiguranti volti femminili vengono cancellati. E ancora, secondo diverse fonti sembra che i talebani stiano già preparando delle liste delle donne nubili. Anche la comunità LGBTQ+ è colpita: gli USA sono stati accusati di aver diffuso “costumi sessuali depravati come l’omosessualità“. La situazione per ora resta comunque confusa in quanto gli stessi talebani, durante la prima conferenza con i media, si sono mostrati aperti e hanno sostenuto che le donne potranno accedere all’istruzione, compresa quella universitaria, e che al momento non vogliono perseguire coloro che hanno collaborato con gli occidentali.
Data la situazione attuale la Commissione Europea ha deciso di arrestare, per il momento, i rimpatri dei profughi afghani. Tale scelta è stata però già contestata da diversi Paesi europei.
Ora, oltre che ricordare la storia non possiamo restare in silenzio di fronte a quello che sta accadendo. Restiamo sconcertati e non possiamo che ricordare Gino Strada che si è spento proprio in questi giorni insieme alle libertà delle donne, dei bambini, delle bambine e dei cittadini dell’Afghanistan. Come Giovani Europeisti Verdi sosteniamo i vari progetti attivi sul territorio da tempo come:
- il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane Onlus, CISDA, che promuove progetti di solidarietà sul territorio fin dal 1999. Il CISDA affianca da tempo diverse organizzazioni democratiche sul territorio come RAWA Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane, AFCECO Organizzazione per la Formazione e la Cura dei Bambini e HAMBASTAGI Partito Afghano della solidarietà i cui due portavoce sono al momento nascosti in quanto in grave pericolo;
- il Progetto Jamila di Pangea Onlus che ha distribuito più di 5000 microcrediti alle donne afghane tramite percorsi di alfabetizzazione e con l’obiettivo di renderle imprenditrici.
Speriamo che questi progetti potranno continuare il loro lavoro anche se in silenzio. Negli uffici di Pangea Onlus si stanno eliminando i documenti che possono provare le connessioni con le collaboratrici e le beneficiarie afghane. Il timore è che chi ha collaborato con le ONG venga ucciso, timore fondato dato che dalle altre città occupate precedentemente dai talebani arrivano testimonianze di omicidi mirati che colpiscono chi ha collaborato con gli occidentali e i rappresentanti della società civile. Tali omicidi non sono una novità in quanto è dalla fine del 2020 che si registra un’escalation della violenza contro i difensori dei diritti umani, dei giornalisti e ancora di politici e di funzionari pubblici. Tutte e tutti coloro che si sono fino ad oggi esposti per difendere i diritti delle donne e delle minoranze, tra cui quella hazara, sono in pericolo e non possono che sentirsi traditi dall’Occidente. Recentissima è la testimonianza di Zafira Ghafari, la sindaca più giovane dell’Afghanistan: ha soli 27 anni e ha raccontato al giornale Open di essere in pericolo in quanto i talebani “verranno per le persone come me e mi uccideranno. Sono seduta con la mia famiglia (…), non posso abbandonarli e comunque dove andrei?”. In un tale contesto l’unico modo è operare in silenzio e favorire la creazione di corridoi umanitari il prima possibile. Molti attivisti, tra l’altro, non intendono diventare dei rifugiati in quanto non potrebbero più rientrare in Afghanistan e continuare a lottare, con un minimo di sicurezza per il proprio Paese. Ma i visti temporanei sono complicatissimi da ottenere e richiedono tempo. Tempo che non c’è.
L’altra drammatica paura è il ritorno di vecchie formazioni terroristiche storiche come Al Qaeda e l’Isis. L’Afghanistan è inoltre in una posizione strategica in quanto sono limitrofi il Tagikistan, il Kazakistan, il Pakistan e la Cina dove risiedono gli Uiguri, i cinesi musulmani perseguitati.
L’Afghanistan è inoltre uno dei maggiori esportatori di oppio nel mondo e storicamente i talebani e le altre formazioni terroristiche si finanziano proprio con il mercato della droga.
Ma cosa non ha funzionato in questi 20 anni?
Dal punto di vista militare:
Secondo l’intelligence americana ci sarebbe voluto almeno un anno e mezzo prima che i talebani riuscissero a riconquistare l’Afghanistan. Una previsione eccessivamente ottimista. In effetti sulla carta l’esercito afghano contava circa 350.000 soldati addestrati dagli eserciti occidentali mentre le forze dei talebani sono tra i 50.000 e i 100.000. Inoltre, l’esercito afghano, disponeva di una buona aviazione, droni, mezzi pesanti e armi fornite dagli USA. Proprio sui numeri però sorgono i primi dubbi: secondo alcune stime i soldati erano in realtà meno della metà. I numeri venivano gonfiati per intascare i salari dei soldati che avevano abbandonato o disertato. Anche la distribuzione delle armi non era ben organizzata in quanto nelle periferie scarseggiavano sia le armi che le munizioni. E ancora, come raccontato da diversi media americani negli ultimi mesi il governo aveva addirittura sospeso i pagamenti dei soldati e aveva smesso di inviare munizioni e cibo. La corruzione del governo e dei comandanti sembra quindi aver giocato un ruolo chiave nella disfatta. Inoltre, la decisione degli USA di ritirarsi aveva demoralizzato fortemente l’esercito afghano convinto di non riuscire a contrastare l’avanzata dei talebani. Non dimentichiamo che in questi vent’anni di guerra vi sono stati circa 66.000 morti tra soldati e poliziotti afghani. La decisione degli USA da molti è stata letta non solo come un abbandono dell’Afghanistan ma anche come un ritiro del sostegno politico al governo afghano. L’esercito, di fronte a un governo afghano corrotto e incapace di sviluppare una strategia di resistenza che riunisse i diversi gruppi etnici e linguistici che costellano l’Afghanistan, ha cominciato a rinunciare a combattere. Non solo, la strategia dei talebani è organizzata da tempo: già a partire dall’anno scorso avevano cominciato a proporre ai capi tribali nelle zone rurali, e poi alle capitali provinciali, soldi ed amnistia in cambio della resa. Tale strategia sembra sia cominciata subito dopo il patto siglato a febbraio 2020 tra USA, sotto l’amministrazione Trump, e i talebani a Doha: un accordo che impegnava gli Stati Uniti a ritirarsi dal Paese, l’Afghanistan (non firmatario in quanto si è trattato di un patto bilaterale USA-Talebani) a rilasciare 5.000 detenuti talebani in cambio di 1.000 prigionieri governativi e, i talebani, dal conto loro, assicuravano che il Paese non sarebbe diventato una base per il terrorismo internazionale. L’accordo prevedeva altri punti come l’avvio di un dialogo tra il governo afghano e i talebani per una spartizione pacifica del potere e il rispetto dei principi democratici della costituzione afghana, diritti delle donne e delle minoranze comprese. Tali punti non sono però mai stati affrontati. In ogni caso ci sono stati dei soldati afghani che hanno combattuto e resistito come quelli a Lashkar Gah e Kunduz in particolare grazie alla partecipazione di gruppi delle forze speciali. Le forze speciali sono il corpo meglio preparato dell’esercito afghano ma conta poche unità e le sue forze non sono quindi state sufficienti. Dal punto di vista militare c’è inoltre un ulteriore punto importante: l’esercito afghano è stato strutturato come quello americano, facendo quindi un grande affidamento sull’aviazione per garantire i rifornimenti, il trasporto dei feriti e le varie operazioni. Gli USA di fatti avevano più di 200 basi sparse per il Paese anche in zone remote e l’unico possibile sostegno era quello via aria. Ritirandosi tuttavia, anche i 15 mila piloti contractors statunitensi hanno lasciato il Paese e il governo afghano non è stato in grado di sostituirli. La base su di cui si fondava quindi l’esercito, l’aviazione, ha ceduto e così lo stesso esercito afghano. Le prime a cadere sono state le basi più remote non più rifornite. D. Petraeus, generale americano in pensione che comandò le forze internazionali in Afghanistan nel 2010 e nel 2011 ha così descritto la situazione: “li abbiamo condannati al fallimento”, il supporto aereo è mancato e le forze a terra “combattevano per qualche giorno, ma poi capivano che non sarebbero arrivati i rinforzi. L’impatto psicologico è stato devastante”. E così anche Giorgio Battisti, Che è stato il primo comandante del contingente italiano in Afghanistan, ricorda: “già due anni fa, i principali vertici militari americani che si erano succeduti avevano preannunciato che le forze di sicurezza afghane non erano capaci di sostenere da sole l’eventuale offensiva talebana. Il concetto è stato ripetuto anche l’anno scorso ed è stato detto anche pochi mesi fa da quelli che erano in carica al comando della missione”. Il generale Battisti, nell’intervista per AGI ha inoltre sottolineato che la ritirata è stata fatta nel periodo sbagliato: “il periodo da aprile fino a ottobre è quello della stagione dei combattimenti in quanto si scioglie la neve sui passi che collegano Afghanistan e Pakistan e riprendono così i collegamenti per il rifornimento di munizioni e il movimento di uomini”:
Dal punto di vista sociale:
Secondo Gabriella Gagliardo del Coordinamento Italiano a Sostegno delle Donne Afghane vi è stato anche un problema sociale ed economico in questi 20 anni: “in Afghanistan le organizzazioni democratiche non sono mai state supportate dalle forze occupanti. Queste realtà democratiche, condotte in particolare da donne ma non solo, sono ora dei target dei Talebani. Devono nascondersi”. G. Gagliardo, in un’intervista per Altreconomia sottolinea che i progressi in materia di diritti per le donne vi è una forte disparità tra città e zone rurali: nella capitale e nelle principali città c’erano effettivamente state delle aperture ma nel resto del Paese di progressi ve ne sono stati ben pochi.
- Gagliardo racconta: “Le scuole aperte erano state velocemente richiuse, gli attentati contro le studentesse, anche le bambine, erano frequentissimi. Era pericolosissimo andare a scuola e il tasso di analfabetismo è ancora comunque altissimo: per le donne è tra l’84 e l’87%, e il 66% delle ragazzine tra i 12 e i 15 anni non ha potuto andare a scuola”. Gagliardo racconta inoltre dell’estendersi delle colture dell’oppio che oggi occupano a forza le terre dei contadini che potrebbero essere coltivate per l’alimentazione della popolazione. Ricordiamo che il Paese è ben lontano dal raggiungere l’autosufficienza alimentare. I principali aiuti economici internazionali che sono arrivati sono di tipo militare, per progetti sociali non si è visto molto. Solo dagli USA sono arrivati oltre 2.000 miliardi di dollari così suddivisi:
- 1.500 in operazioni belliche
- 87 per l’addestramento
- 54 per l’aiuto economico e la ricostruzione
- 10 per la lotta alla droga.
Anche a livello sanitario l’Afghanistan non se la passa bene: “negli anni non è stato investito in questo settore e quindi tutti gli aiuti che sono arrivati per costruire ospedali o cliniche molto spesso non sono mai stati attivati, finendo al contrario in bustarelle o corruzioni varie”.
Chiudiamo con le parole di Gino Strada “sulla questione afghana è da anni che c’è un coprifuoco mediatico nonostante la situazione”. Ora si è tornati a parlarne, speriamo che tutto non venga presto di nuovo dimenticato.
Scritto da Erica Soana, membro dell’esecutivo nazionale GEV
Fonti
https://www.lastampa.it/topnews/lettere-e-idee/2021/08/13/news/cosi-ho-visto-morire-kabul-1.40594569
https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_dell%27Afghanistan
https://www.wired.it/attualita/politica/2021/08/16/donne-afghanistan-talebani-kabul/
https://www.ilpost.it/2021/08/16/esercito-afghanistan-arreso/
https://www.washingtonpost.com/world/2021/08/15/afghanistan-military-collapse-taliban/
https://www.repubblica.it/esteri/2021/08/13/news/afghanistan_talibani_storia_cronologia-313889244/
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/lafghanistan-un-anno-dallaccordo-di-doha-29496