Il Mattarella Bis e la dignità del tempo

 

È Sabato 29 Gennaio e le lancette dell’aula hanno appena segnato le 20 e 20. Roberto Fico, presidente della Camera, legge per la 504esima volta il cognome “Mattarella”. Tra gli scranni c’è chi inizia a mormorare aspettando impaziente l’ultima scheda che servirebbe per raggiungere l’agognato quorum. Pochi attimi dopo, eccola. Si leva un’ovazione che durerà più di 5 minuti, la più lunga della storia della Repubblica Italiana. È fatta. All’ottava votazione Sergio Mattarella viene rieletto capo dello Stato. A scrutinio concluso il tabellone segnerà 759 voti. Meglio di lui soltanto Sandro Pertini nel ’78 con 832. Intorno alle 21,20 Roberto Fico insieme a Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato, sale al colle per consegnare l’esito al neo(ri)eletto Presidente della Repubblica. Mattarella lascerà una breve dichiarazione in cui ringrazierà i parlamentari e i delegati regionali per la fiducia espressa nei suoi confronti sottolineando le difficili emergenze che l’Italia deve affrontare e che <<”queste condizioni impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati – e, naturalmente, devono prevalere su altre considerazioni e su prospettive personali differenti”>>.
Era già noto che Mattarella aveva altri piani e a suffragare questa posizione erano, tra i tanti indizi diffusi nei giorni scorsi, le foto pubblicate degli scatoloni al Quirinale, i sopralluoghi fatti alla casa presa in affitto nel quartiere Parioli di Roma e la cena in programma con gli amici di una vita e i familiari in un ristorante del centro. Ma bisogna rimandare tutto. Dopo giorni di estenuanti e infruttuose trattative, i leader dei maggiori partiti presenti in Parlamento  non sono riusciti a trovare una quadra e hanno virato sul nome di Sergio Mattarella. A dire il vero, il sentore di un Mattarella bis era già nell’aria nei giorni precedenti quando ad ogni votazione il numero dei voti in suo favore cresceva.

Questa votazione dimostra da un lato la debolezza dei leader nel gestire un’interlocuzione che potesse portare ad un accordo super partes, dall’altra, la libertà d’iniziativa che hanno impugnato i gruppi parlamentari delle varie forze politiche, stanchi di attendere “direttive dall’alto” (che tardavano ad arrivare) dopo essersi astenuti o aver votato scheda bianca molteplici volte. Non è forse azzardato affermare che abbiamo assistito da spettatori ad una crisi della dialettica politica intesa nel senso greco del termine come “arte di argomentare”. È indubbio, infatti, che quanto accaduto sabato sera è nientemeno che un altro capitolo di un copione che conosciamo fin troppo bene. E’ il riflesso di una politica incancrenita e autoreferenziale composta da leader incapaci di analizzare, capire e rappresentare i bisogni reali del paese e troppo impegnati a recitare slogan e scrivere tweet. Intendiamoci, non vogliamo certo affermare che la rielezione di Mattarella sia un male in sé in quanto da Presidente ha saputo incarnare egregiamente il suo ruolo come pochi altri hanno saputo fare prima di lui. Non possiamo però esimerci dal constatare che, in poco più di dieci anni, a partire dalla rielezione di Giorgio Napolitano, abbiamo visto non rispettata quella consuetudine che voleva un solo mandato per ogni Presidente della Repubblica.

 

È forse questo un disfacimento del comparto democratico del nostro paese? Certamente no. Ma è innegabile notare come si sia aperta una nuova fase nella quale è accettata (e in questo caso addirittura supportata) l’idea che un Presidente della Repubblica possa rimanere in carica per due mandati consecutivi e nella quale si preferisce rieleggere lo stesso Presidente, che gode di stima diffusa, piuttosto che sforzarsi a cercare una sintesi per trovare un altro nome. Leggendo in modo organico e trasversale le varie votazioni che hanno dato fumata bianca per l’elezione dei vari Presidenti della Repubblica sappiamo che ben cinque volte su dodici si sono superate le otto. E rispettivamente, in ordine cronologico, per Antonio Segni (nove votazioni), Giuseppe Saragat (ventuno votazioni), Giovanni Leone (ventitré votazioni), Sandro Pertini (sedici votazioni) e Oscar Luigi Scalfaro (sedici votazioni). Questo ci fa comprendere come sia cambiata la visione politica sulla concezione del “tempo”. Se prima infatti, era plausibile, votare molte volte in attesa di raggiungere un accordo tra le parti, oggi invece, già otto votazioni sono troppe. Sono troppe poiché anche la politica a modo suo è diventata “consumista” nella società del tutto e subito. Ed’ è in questo contesto che si inserisce una modernità che addirittura supera il concetto di liquidità enunciato da Bauman per approdare in uno stato gassoso e atomizzato in cui la politica ha perso quella capacità di approfondire, di analizzare e di trovare soluzioni complesse. Si sono semplificati i metodi che vengono utilizzati e i messaggi che vengono lanciati. I politici, il più delle volte non sono più in grado di mettere in pratica fino in fondo quel processo dialettico illustrato da Hegel in tesi antitesi e sintesi ma si immobilizzano incapaci di prendere una decisione condivisa. Ma questo non deve stupirci se pensiamo a quante volte oramai la politica si esaurisca sulle piattaforme polarizzanti e polarizzate dei social network a suon di tweet senza diritto di replica. Purtroppo, a questo modo di procedere non si è sottratta nemmeno la votazione per l’elezione del Presidente della Repubblica che ha dimostrato la non volontà e l’incapacità di dare la giusta dignità al tempo. Tempo che sarebbe stato necessario ad individuare una figura alternativa a Mattarella, condivisa dalle parti e capace, dunque, di raggiungere il quorum.

 

Scritto da Luca Boccoli

Coportavoce Nazionale GEV